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dott.ssa Wilma Pagano
“Le “asimmetrie contrattuali”
Relatore: Ch.mo Prof. Paolo Pollice
Il presente lavoro si prefigge lo scopo di evidenziare in chiave problematica e rimediale ed in funzione di armonizzazione la crescente emersione nel diritto interno e comunitario di schemi negoziali contraddistinti da un’asimmetria di potere contrattuale fra le parti coinvolte.
Il Codice civile italiano del 1942 risente sul piano dogmatico delle concorrenti influenze germanistica e francese e su quello sistematico del proprio ruolo di unificazione della pregressa legislazione civilistica del 1865 e commercialistica del 1882.
All’esaltazione della volontà contrattuale ad apertura del Titolo II sui contratti in generale del Libro sulle obbligazioni, alla recezione del principio del consenso traslativo fa da presto contrappeso un approccio normativo al contratto inteso come concreto strumento di circolazione della ricchezza, che deve tenere conto delle esigenze di certezza dei traffici in sé ed in vista della tutela dell’affidamento legittimo dei terzi.
Rilevano in tal senso le norme sul possesso di buona fede dei beni mobili e sulla trascrizione degli acquisti immobiliari e di mobili registrati, la disciplina dell’errore ostativo e la regolamentazione del contratto standard.
Con gli articoli 1341 e 1342 c.c. in modo particolare il legislatore del 1942 ha svelato l’emersione nella prassi commerciale di modelli contrattuali che, indipendentemente dalla qualificazione soggettiva delle parti, tramite la predisposizione unilaterale ed uniforme di condizioni generali di negoziazione, limitano in punto di potere di contrattazione l’autonomia contrattuale di una delle parti ed offrono un esempio primordiale di contratto asimmetrico.
Nota autorevole dottrina come l’economia moderna abbia reso necessario l’adeguamento della disciplina del contratto alle esigenze del mercato, che non sempre lasciano spazio alla piana espressione dell’autonomia contrattuale di entrambe le parti. La società industriale ruota sul perno della produzione in serie e della distribuzione omogenea su larga scala. Nel 1942 si è all’alba della globalizzazione e tanto è noto al legislatore nazionale.
In senso atecnico contratto asimmetrico è qualunque negozio fra parti in disparità di potere contrattuale, per ragioni diverse ed afferenti ad un’asimmetria informativa, economica, tecnologica.
Esso procede dal paradigma del contratto per adesione di cui al menzionato articolo 1341 c.c., passando attraverso i contratti di diritto pubblico, i contratti di lavoro subordinato, i contratti con i consumatori, i contratti bancari, i contratti cosiddetti business to business fra imprese in disparità di potere economico.
Questa asimmetria è dunque piuttosto la regola della negoziazione, mentre il paradigma del contratto di diritto comune in senso stretto resta relegato all’ambito più astratto della occasionale negoziazione interprivata.
Soprattutto la legislazione speciale di fonte comunitaria si è occupata di far emergere e di regolare le differenti tipologie di asimmetrie negoziali al combinato scopo di tutelare il contraente debole e di garantire il corretto svolgimento di un virtuoso sistema concorrenziale. Così emerge fra l’altro dai considerando della direttiva 93/13/CEE recante disposizioni in materia di <
Così la summenzionata direttiva del 1993 ha rappresentato l’esordio della disciplina a tutela del consumatore da ultimo recepita dagli articoli 33 ss. del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005); la direttiva 1999/44/CE ha introdotto la normativa della vendita dei beni di consumo, recata oggi dagli articoli 128 ss. del Codice del consumo. Parimenti vantano influenze comunitarie la legge n. 192/1998 a regolazione della subfornitura industriale e il d.lgs. n. 231/2002 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Fra la legislazione speciale a tutela del contraente debole si segnalano, inoltre, il d.lgs. n. 58/1998, recante il testo unico in materia di intermediazione finanziaria; la legge n. 108/1996, che ha modificato tra l’altro la disciplina dei mutui usurari; la legge n. 431/1998 in materia di locazioni ad uso abitativo.
Il percorso diacronico della normativa protezionistica svela una progressione dalla tutela del consumatore, soggetto normativamente qualificato ai sensi dell’articolo 3 co. 1 lett. a) del Codice del consumo, al cliente genericamente inteso, fino all’impresa debole in una prospettiva attenta alla configurazione concreta dei rapporti negoziali.
Il rafforzamento della tutela del contraente debole del resto rientra fra gli altri aspetti virtuosi della rilettura della causa contrattuale come ragione concreta dell’affare offerta dalla Suprema Corte con il noto arresto n. 10490/2006.
L’asimmetria di potere contrattuale incide su molti aspetti della negoziazione, fisiologici e patologici; prenegoziali, esecutivi e rimediali; afferenti alla riscrittura dell’equilibrio fra i poteri legislativo e giurisdizionale.
Emerge il valore dell’informazione come bene della vita, costoso da acquisire ed idoneo ad atteggiarsi per taluni aspetti come un bene pubblico. Parte della dottrina ha ritenuto di poter addirittura rinvenire negli anni Novanta del secolo ormai trascorso un progressivo passaggio dall’economia dei beni a quella dell’informazione. Ed in effetti asimmetrie informative sono ben idonee a cagionare cosiddetti market failures.
Il legislatore nazionale ha dato rilievo diretto agli obblighi informativi soltanto nella disciplina delle trattative agli articoli 1337 e 1338 c.c. ed in punto di regolamentazione dei vizi del consenso ai sensi degli articoli 1427 ss. c.c. Discussa è l’individuazione del limite fra obblighi informativi e legittima reticenza. Soccorrono una valutazione concreta dei rapporti intercorsi fra i contraenti e della complessiva operazione negoziale nonché l’adozione del parametro della buona fede oggettiva in funzione così valutativa come integrativa.
Gli obblighi informativi sono sorretti dalla responsabilità precontrattuale suscettibile di attivazione anche a seguito della conclusione del contratto, dalla cosiddetta contrattualizzazione delle informazioni precontrattuali emersa ad esempio in materia di commercializzazione dei pacchetti turistici, dalla integrazione del contenuto del contratto secondo buona fede.
Così i negozi con i consumatori prima e poi in via più generale quelli comunque stipulati fra soggetti in disparità di potere contrattuale hanno costituito un veicolo essenziale per l’evoluzione del ruolo della buona fede oggettiva da mera regola di valutazione secondo correttezza del comportamento delle parti a fonte di autonomi obblighi integrativi, sebbene in senso esplicativo piuttosto che innovativo dell’autonomia privata, del regolamento contrattuale.
Tanto ha costretto gli operatori del diritto a riconsiderare il ruolo dell’autorità giudiziaria, soggetta alla legge e solo ad essa ai sensi dell’art. 101 della Costituzione ma non per questo ancora associabile alla angusta figura di bouche de la lois.
Tuttavia malgrado le tendenze più disinvolte in punto di poteri di incidenza dell’autorità giudiziaria sul regolamento contrattuale provenienti dal contesto sovranazionale, anche attraverso i Principi Unidroit e i P.E.C.L., il legislatore italiano e con esso la maggioranza degli interpreti non hanno mai ceduto ad un sindacato del giudice che si spinga altre il più piano svolgimento della volontà espressa dai contraenti attraverso il regolamento negoziale.
Valga per tutti la disciplina dell’hardship ai sensi dell’art. 6.2.2 dei Principi Unidroit e di converso la disciplina della sopravvenienza tipica della sopraggiunta eccessiva onerosità della prestazione di una delle parti di cui agli articoli 1467 ss. c.c. Manca del tutto nel rimedio di diritto interno, come fatto rilevare da dottrina autorevole sebbene non incontestata, l’attenzione all’attivazione di un effettivo programma collaborativo fra le parti nella fase patologica del negozio ed ancor più il concepimento di un potere giudiziario di ridefinizione dell’equilibrio contrattuale su generica istanza di parte.
La struttura asimmetrica dei poteri negoziali apre al tema dell’abuso del diritto. Figura controversa in dottrina e sempre più diffusa in giurisprudenza, in termini così sostanziali come processuali, a partire dalla storica sentenza Vivaldi della Suprema Corte (n. 20106/2009), l’abuso del diritto è da intendersi come l’uso distorto di un potere di cui pure si è titolari in forza di una norma. Detta distorsione funzionale cagiona uno squilibrio consistente ed ingiustificato fra i benefici conseguiti dall’agente e i pregiudizi arrecati al destinatario dell’esercizio. Conseguentemente il giudice adito potrà dichiarare inefficaci gli atti abusivi ovvero condannare l’esercente al risarcimento dei danni, senza che tanto costituisca una ingerenza indebita nel regolamento negoziale, poiché ciò che si censura non è l’atto di autonomia privata ma il suo uso distorto e specialmente abusivo.
La fonte dell’abuso del diritto va rinvenuta nel generale dovere di correttezza e buona fede che vincola i contraenti sin dal loro primo “contatto qualificato”.
Del resto lo stesso legislatore del 1990 regolava in seno alla legge antitrust fra le altre fattispecie distorsive della concorrenza l’abuso di posizione dominante e nel 1998 l’art. 9 della legge sulla subfornitura industriale recava la disciplina dell’abuso di dipendenza economica.
Parimenti è evidente il dialogo interordinamentale che anche attraverso le figure abusive si stabilisce fra legislazione civilistica e legislazione amministrativistica, ove l’abuso di potere figura come uno dei vizi di legittimità del provvedimento.
Naturalmente la tutela del contraente debole nei rapporti asimmetrici passa in maniera consistente per la predisposizione di un adeguato apparato rimediale.
La composizione del profilo protezionistico e della prospettiva concorrenziale anima questi rimedi e ne giustifica il regime.
Così, indipendentemente dalla pur discussa esatta qualificazione giuridica di diritto interno, il legislatore nazionale sulla spinta del diritto sovranazionale ha elaborato il regime delle nullità di protezione (per cui in particolare si rimanda agli articoli 34 e 36 del Codice del Consumo).
Esse si caratterizzano per la predisposizione a tutela di interessi se non individuali, quanto meno di categoria, dunque per la relatività quanto a legittimazione attiva e la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice e nel solo interesse della parte lesa, a controbilanciare le disparità informative ed economiche che hanno consentito la negoziazione abusiva.
Significativamente la nullità cosiddetta di protezione è parziale, aprendo ad una ragionevole applicazione sterilizzata dell’art. 1419 c.c., giacché il professionista non può avvalersi della clausola di essenzialità.
Il coordinamento dei diritti individuali e degli interessi commerciali nella prospettiva di un mercato virtuoso suggerisce fra l’altro la conservazione della parte inoffensiva e produttiva dei contratti nati abusivi.
Inoltre proprio i contratti dei consumatori sono stati campo elettivo per l’osservazione di quello scivolamento fra regole di validità e regole di responsabilità giustificato da esigenze specifiche di tutela e su cui da ultimo si sono pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte (sentenza n. 26724/2007).
L’art. 9 della legge n. 192/1998, che la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie considerano espressione della clausola generale di abuso di potere contrattuale nelle relazioni negoziali tra imprese, dispone al terzo comma la nullità del patto attraverso il quale si realizzi l’abuso.
Altro non è specificato dal legislatore rispetto al regime di questa invalidità.
L’osservazione si iscrive nella più ampia disputa che di recente ha interessato la dottrina, specialmente italiana, in ordine alla possibilità di delineare i tratti di un modello generale di “contratto asimmetrico” ovvero di elaborare un ulteriore schema negoziale definito “terzo contratto”.
Per terzo contratto deve intendersi il negozio che si giustappone al primo contratto di diritto comune ed al secondo contratto b2c, contraddistinto dalla specificità di intercorrere fra imprese (b2b) in disparità di potere contrattuale.
Sotto il profilo contenutistico, senza dubbio il perno intorno al quale si è progressivamente alimentata la categoria del terzo contratto è rappresentato dalla disciplina dell’abuso di dipendenza economica, di cui al più volte citato art. 9 della legge n. 192/1998.
Sono poi intervenuti il d.lgs. n. 231/2001 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e la legge n. 129/2004, recante la disciplina dell’affiliazione commerciale ovvero del franchising.
Non manca tuttavia chi ha ritenuto di poter sostenere che prime epifanie della figura in esame siano rinvenibili nella legislazione a tutela della concorrenza.
Gli interpreti che optano per l’impostazione ermeneutica del terzo contratto ritengono di poter individuare taluni profili essenziali in ragione dei quali i contratti fra imprese, pur segnati da un’asimmetria di poteri fra le parti, si distinguono dai contratti con i consumatori.
Pertanto essi esigono un’autonoma categoria di riferimento e una differente disciplina.
Si tratta della diversa rilevanza delle modalità della contrattazione, del differente regime della prova dello squilibrio, delle ragioni stesse della tutela e della rilevanza nell’un caso e indifferenza nell’altro delle condizioni generali di mercato. Alla stessa autorità giudiziaria è richiesto un approfondimento tecnico-specialistico del giudizio che manca in sede di valutazione della vessatorietà delle clausole nella negoziazione consumeristica.
Si registra anche un orientamento temperato che intende costruire una categoria osmotica di terzo contratto, aperta a recepire le regole di procedimento degli altri contratti asimmetrici e a chiudersi intorno a proprie regole di contenuto.
Si è fatta rilevare, tuttavia, la debolezza del sostrato normativo della categoria in parola, giacché de iure condito si è rivelata piuttosto faticosa la ricostruzione di una figura positiva di imprenditore debole. Anche la legge in materia di subfornitura è apparsa più diretta a reprimere le condotte abusive delle imprese che a tutelare l’impresa debole.
Ciò non toglie che diversi meriti siano ascrivibili alla presente categoria ermeneutica. Fra questi sono l’aver ostacolato la costruzione di un unico indifferenziato paradigma di contraente debole, l’aver contrastato la tesi dell’affermazione di un principio generale di giustizia sociale nel contratto, l’aver svolto il ruolo di principale antagonista dell’opposta categoria ermeneutica del contratto asimmetrico.
Il contratto asimmetrico è un modello negoziale adottato da altra autorevole dottrina per offrire una disciplina unitaria a tutti quei contratti contraddistinti, indipendentemente dalla qualificazione soggettiva dei contraenti, da una disparità di potere negoziale fra le parti. Esso affonda le sue radici nella legislazione consumeristica di origine comunitaria degli anni Novanta per poi travalicarne le barriere.
Questo nuovo paradigma contrattuale presenterebbe alcuni caratteri di inconfondibile peculiarità rispetto al contratto di diritto comune: forza normativa attenuata, più diffusa impugnabilità, minore invasività delle invalidità che lo presidiano, sindacabilità del suo equilibrio normativo ed economico, commistione fra regole di validità e regole di comportamento/responsabilità.
Esso vanta un vastissimo ambito applicativo e non è privo di referenti normativi interni e sovranazionali. Fra questi si annoverano il primo ed il secondo decreto Bersani convertiti rispettivamente nelle leggi nn. 248/2006 e 40/2007; la stessa direttiva 2000/35/CE sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali; la direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali fra imprese e consumatori nel mercato interno.
In tutti questi riferimenti normativi viene in evidenza una figura di contraente debole che travalica la nozione tradizionale di consumatore, per comprendere i clienti, i concorrenti, le piccole imprese.
Senza dubbio il contratto asimmetrico mostra il pregio dell’idoneità a fungere da strumento di ricomposizione unitaria del sistema contrattuale anche in prospettiva rimediale; al contrario il terzo contratto è fattore di ulteriore frammentazione.
Anche questo modello interpretativo tuttavia ha vacillato a fronte dell’osservazione di chi nota come l’analogia dei diritti/obblighi e dei rimedi dovrebbe originarsi da una pregressa e concreta analogia dei problemi economico – sociali, che costituiscono il fondamento dell’opzione normativa.
Così nei rapporti b2c il contesto di riferimento è quello di una stipulazione tra un operatore professionale, avveduto, ed un consumatore, afflitto da non colmabili condizioni di fisiologica asimmetria rispetto alla sua controparte; l’attenzione del legislatore si esaurisce nei limiti del singolo atto di consumo; la normativa protezionistica non è estranea alla comprensione del valore solidaristico di tutela della “persona fisica” – consumatore.
Al contrario nei rapporti b2b lo spazio è quello delle relazioni fra operatori entrambi avveduti, anche se depositari di un differente potere economico; lo sguardo normativo è alla complessa operazione economica ed allo specifico mercato di riferimento; il valore assunto come prius della tutela è quello della struttura concorrenziale del mercato; l’agire dei soggetti impersonali, che esercitano l’attività d’impresa, non lascia alcuno spazio alla comprensione della tutela diretta della persona fisica, mentre principi dominanti sono quelli della libertà dell’iniziativa economica e della garanzia della concorrenza.
In un quadro simile non sembra sia possibile parlare dell’asimmetria di potere contrattuale come criterio aggregante di un nuovo modello ermeneutico nel diritto dei contratti. Evidentemente essa è caratteristica, senza dubbio comune a fattispecie differenti, ma non in grado di operare in modo omogeneo nella determinazione della disciplina dei contratti che ne sono interessati.
In tal senso essa si riduce a tratto comune dalla valenza meramente descrittiva e appare al contempo più opportuno parlare di asimmetrie che di asimmetria contrattuale.
Si osservi a titolo esemplificativo che non sempre il difetto di informazione specialistica che contraddistingue la posizione del consumatore può giustificarsi e generare i correlativi rimedi quando figuri in capo ad una piccola impresa. Il sistema dell’iniziativa economica è pur sempre reggimentato dalla libertà di iniziativa economica ai sensi dell’articolo 41 Costituzione, cui fa da contrappeso l’assunzione del rischio d’impresa e l’autoresponsabilità per l’inadeguatezza a sostenere lo svolgimento fisiologico del sistema concorrenziale.
Probabilmente non si esauriscono all’alternativa fra terzo contratto e contratto asimmetrico le strade che possono condurre, oltre il consumatore, ad un rinnovato diritto dei contratti, coerente al suo interno e funzionale allo sviluppo di nuova dimensione giuridica europea.
La terza strada può essere quella di un metodo che, emancipandosi dall’“ansia sistematica” che opprime la dottrina nazionale, sappia cercare una nuova disciplina capace di integrare la tutela e lo sviluppo dei due valori della persona e del mercato nello spazio fecondo dell’armonizzazione giuridica ed economica europea.
Di certo è necessaria la disponibilità all’abbandono di taluni nostalgici atteggiamenti positivistici, che ancora pesano sulla dottrina nazionale.
Non sono mancati occasioni e tentativi di evasione dai confini del diritto positivo. Tanto soprattutto a seguito dell’introduzione della Carta fondamentale del 1948, la quale ha indotto alle molteplici letture costituzionalmente orientate dei codici, di quello civile in particolare, e iniziato dottrina e giurisprudenza alla cultura giuridica dei principi.
Coessenziale a questo dialogo virtuoso fra gli ordinamenti degli Stati membri nella prospettiva di un diritto contrattuale europeo armonizzato è il ricorso al parametro interpretativo, integrativo, rimediale della buona fede oggettiva, in grado di coniare un linguaggio negoziale unitario che arrivi alla sostanza della contrattazione individuale inserita nel sistema della più complessa operazione economica di riferimento.
In definitiva: <
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