
Archivio tesi premiate
dott.ssa Rosina Papaleo
"Inefficacia definitiva e sorte del contratto"
Relatore: Ch.mo Prof. Carmine Donisi
Nell’elaborazione della tesi, i settori di indagine sono stati due: la categoria giuridica dell’inefficacia e l’apparente superamento dell’uso normativo della nullità, quale rimedio per l’atto viziato.
Si è osservato come il legislatore sembri preferire lo strumento dell’inefficacia per la sua duttilità, facilmente impiegabile per sanzionare l’attività negoziale privata svoltasi in contrasto con le regole poste a tutela delle parti contraenti. Tuttavia, tale circostanza è costantemente destinata a scontrarsi con la disciplina positiva: il legislatore del codice mantiene nei confronti dell’inefficacia un atteggiamento equivoco, perché se non la respinge decisamente, neppure l’ammette chiaramente come figura generale.
Quale destino, allora, per quelle fattispecie negoziali che, seppur valide al momento della stipulazione, sono incapaci in modo certo e definitivo di produrre effetti giuridici?
Dopo aver tentato di dare una definizione di inefficacia, partendo dalla sua considerazione in positivo, cioè l’efficacia del negozio giuridico, si è passati ad analizzare quattro distinte fattispecie negoziali: a) il contratto sospensivamente condizionato, nell’ipotesi in cui la condizione sospensiva non si avveri; b) il contratto concluso dal rappresentante sprovvisto di procura, senza che intervenga la successiva ratifica; c) la vendita di cosa futura, nel caso in cui il bene non venga ad esistenza; d) il contratto il cui contenuto contempla le cd. “clausole vessatorie”, così come descritto dall’art. 1669 – quinquies. In tutti questi casi il legislatore parla di inefficacia, ma la suddetta categoria non è apparsa soddisfacente ai fini di un esaustivo inquadramento dogmatico del fenomeno.
Infatti, l’inefficacia può assumere un senso solo se intesa come stato transitorio dell’atto, ma non è idonea a descrivere la definitiva sorte del contratto improduttivo in modo certo degli effetti giuridici.
Il contratto risolve la sua essenza nella produzione degli effetti, che deve essere ricondotta direttamente alla causa giuridica, intesa quest’ultima come la funzione del negozio giuridico; in quanto funzione del negozio, essa si evince dall’analisi del concreto contenuto contrattuale, che emerge dall’insieme degli elementi principali e secondari. Fra l’altro, tesi abbastanza recenti impongono di ravvisare nella causa un quid che “illumina” il contratto nella sua dimensione di valore. La causa è anche funzione identificata dalla sintesi degli effetti giuridici diretti ed essenziali del contratto, poiché gli effetti giuridici sono sostanziati dai concreti interessi che l’operazione è diretta a realizzare.
Mancando gli effetti, che realizzano la regolamentazione degli interessi delle parti, il contratto è inutile, come si era avvertito già presso la dottrina romana e in quella italiana all’inizio del secolo. Ma dire che l’atto è inutile significa riproporre gli stessi dubbi che si affacciano alla mente del giurista quando si trova di fronte ad un contratto definitivamente inefficace.
Resta, dato fermo e incontrovertibile, la contraddizione di un contratto che perpetuamente lega i contraenti ma incapace di porsi come valida fonte di sistemazione degli interessi. Osservato nella prospettiva della fattispecie, l’atto è valido, ma visto nella sua essenza di atto di autoregolamentazione, il contratto non assolve al suo ruolo. Poiché il fenomeno contrattuale è unitario, per quanto valutato secondo due diverse prospettive, non è possibile che la disfunzione che affligge il momento effettuale non spieghi la sua influenza sul piano meramente formale dello schema negoziale, caratterizzato dall’insieme di elementi la cui presenza permette di individuare la giuridica esistenza di una contrattazione. La discrasia che si viene a creare tra momento programmatico e momento funzionale deve essere, quindi, spiegata sotto il profilo funzionale.
Considerando che il momento funzionale traduce l’essenza del fenomeno contrattuale, la mancanza degli effetti giuridici determina l’inattuazione della causa giuridica: essa non è elemento statico, ma elemento dinamico, che traduce la funzione del contratto, cioè la sua concreta capacità di funzionare secondo il programma predisposto dai contraenti.
Non potendosi fare affidamento su un concetto labile e sfumato quale è l’inefficacia, l’unico strumento capace di qualificare l’atto definitivamente inefficace è apparsa la nullità, definita dalla più recente dottrina come“tecnica di regolamentazione degli interessi dei singoli”: la mancata attuazione della causa negoziale, che si risolve nella mancata produzione effettuale, denota un vizio strutturale che attiene alla funzione, quindi alla causa del negozio. Il contratto si caratterizza per esprimere e realizzare l’assetto di interessi programmato dalle parti e quando ciò non si verifica non è più lecito continuare a discorrere di negozialità del fenomeno: un tale atto non può che essere nullo.
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